Perché Napoli è la città più speciale del mondo?
“Io penso che Napoli sia ancora l’ultima speranza che ha l’umanità per sopravvivere”, citazione del grandissimo Luciano De Crescenzo.
Continuiamo questa seconda parte del viaggio a Napoli per capire perché è la città più speciale del mondo. In fondo al post troverai la prima parte di questo viaggio alla scoperta di Napoli.
Siamo partiti da Castel dell’Ovo per proseguire verso Piazza Plebiscito, verso il cuore dei Quartieri Spagnoli, via Toledo e Piazza del Gesù.
Napoli è un’esperienza sensoriale, perché qui oltre al cuore ti si attivano tutti i sensi, il primo di questi per me è stato l’olfatto e cosa scopro?
Napoli profuma di mare, proprio come diceva Pino Daniele in “Napule è” ed è il primo odore che si percepisce appena il treno giunge alla stazione di Napoli Centrale ed apre le sue porte. E’ un profumo che sa di gioia di vita, di rigenerazione, di libertà e di vacanza. C’è un profumo migliore?
Poi scopro che Napoli profuma di sfogliatelle, un odore di zucchero, di sfoglia, di limone e di cannella così inebrianti da indurre il tuo naso alla “ricerca della sfogliatella perduta”. Appena giunti alla stazione centrale, c’è “Cuore di sfogliatella”, un bar pasticceria dove la vetrina è un inno a questa prelibatezza, prodotta a cupola in formato Vesuvio, ovvero una montagna di gusto con un’esplosione di ricotta al primo morso. Come fare a resistere? La risposta è “perché farlo!”. Potresti optare per una pasticceria che è un’istituzione, ovvero Scaturchio, o lasciarti tentare da Gambrinus.
Napoli nei suoi vicoli o vichi profuma di sugo e panni stesi, ancora mi chiedo come sia possibile la coesistenza dei due odori, ma solo i napoletani possono!
Napoli profuma di pizza, quella vera, quella con il cornicione alto e ricca di pomodoro e di mozzarella, che fila in bocca e ti delizia il palato. Ma te la immagini la Regina Margherita in visita a Napoli mentre assaggia questa meraviglia preparata per lei?
Napoli profuma di caffè, a tazzina calda o tazzina fredda? Ora mi dirai “quante storie”, invece no! La tazzina deve essere rigorosamente calda per esaltare il gusto del caffè. Il caffè è un rito sacro, è la quintessenza di Napoli, lo devi saper fare, punto!
Ti viene servito con un bicchiere d’acqua, che berrai rigorosamente prima per sciacquare la bocca e prepararla all’assaggio, la bocca deve profumare di caffè dopo! Ovviamente, se lo gusti con un dolce, il caffè è sempre l’ultimo.
Evviva il caffè, evviva Napoli!
Continuiamo il nostro giro di Napoli giungendo a Piazza Bellini.
PIAZZA BELLINI
Piazza Bellini è la porta del centro storico, che dal 1995 è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco ed è il più vasto d’Italia.
La piazza è intitolata a Vincenzo Bellini, il celebre compositore catanese che si formò al Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli.
Ricordiamo che Napoli ha una storia musicale di tutto rispetto: il Teatro San Carlo è il primo teatro lirico del mondo.
A Piazza Bellini c’è una parte della cinta muraria di Neapolis, la città greca.
Le mura che vediamo a Piazza Bellini vanno in profondità, dovremmo scendere di almeno 6-7 metri.
Come dicono i napoletani, Napoli è come una lasagna, dall’insediamento greco a quello attuale è tutta una stratificazione, l’una sopra l’altra, di 3000 anni di storia.
Per costruire la città si utilizzò il tufo, che era leggero, facilmente reperibile, trasportabile e lavorabile, ma con la peculiarità di essere poroso e di assorbire molta acqua, sgretolandosi.
Se ci guardiamo attorno ed osserviamo i palazzi, non ci sono due facciate uguali. Sono vecchie residenze nobiliari e rispecchiano i gusti architettonici delle famiglie che le facevano costruire, ognuna delle quali chiamava gli architetti di proprio piacimento.
A Napoli devi entrare nei cortili dei Palazzi per ammirare gli interni, vi sono pozzi, ma soprattutto scale bellissime.
Il sottosuolo è tuttora ricchissimo di reperti, basti pensare che durante i lavori di costruzione della metropolitana a Piazza Municipio, scavando, hanno trovato ben 5 navi intere di epoca romana, a testimonianza del fatto che dove ora c’è Piazza Municipio, in epoca romana vi era il porto di Neapolis.
Il fenomeno delle eruzioni vulcaniche ha fatto sì che il territorio si espandesse a scapito dell’acqua e che si sia creata più terra ferma.
Per costruire la metropolitana si è dovuti andare a scavare in profondità, si giunge anche a 81 metri sotto il livello del mare a Piazza Garibaldi.
Da Piazza Bellini giriamo verso il CONSERVATORIO DI SAN PIETRO A MAJELLA, ma precisiamo che non era l’unico Conservatorio a Napoli, ve ne era quattro.
Durante il Regno Borbonico, a partire dal 1500 i quattro Conservatori furono accorpati nel Regio Conservatorio all’interno di un vecchio convento, di cui Napoli era piena.
Ricordiamo che vi erano oltre 500 chiese ed altrettanti conventi, che furono chiusi, specialmente sotto Napoleone, e riconvertiti in qualcos’altro.
Una presenza così massiccia di chiese fa sì che tu le possa vedere ovunque in mezzo ai palazzi, segno di una forte devozione, connaturata nell’animo napoletano.
Immettiamoci da Via San Pietro a Majella verso Via dei Tribunali, il Decumano Maggiore di Napoli.
I DECUMANI
E’ una meravigliosa passeggiata tra colorate bancarelle, profumi estasianti di cibo e corni collaudati.
Nel centro storico si vede il sistema con cui la città è stata costruita dai greci prima e successivamente ampliata dai romani.
Abbiamo tre strade principali, parallele le une alle altre: il Decumano Maggiore, via dei Tribunali, la cui parallela in alto è Via dell’Anticaglia, detto Decumano Superiore, e poi in basso il Decumano Inferiore, la notissima Spaccanapoli.
A queste tre strade principali parallele si intersecano strade piccoline, ovvero i cardini, che per tutti sono i vichi.
Vista dall’alto, è una griglia con i decumani, che vanno da est ad ovest, ed i cardini da nord a sud.
La particolarità di Napoli rispetto alle altre città greco-romane è che è stata costruita con soli 3 decumani, si pensi solo che Pompei ne ha 5.
A Napoli ci sono 3 decumani, perché simbolicamente rappresentano le tre dimensioni della vita di un uomo: il Decumano Maggiore è la vita terrena, il Superiore è la casa degli dei, l’Inferiore verso il mare è l’oltretomba.
Ancora oggi si può vedere che Via dei tribunali ti porta a Piazza San Gaetano, che all’epoca romana è stato il foro della città, ovvero la piazza pubblica principale.
A ridosso di Spaccanapoli continuavano le mura ed oltre le mura c’erano le necropoli, questi cimiteri che furono trasformati in catacombe, presenti ancora oggi.
In alto, il Decumano Superiore terminava con l’edificio più sacro della città, ovvero il Tempio del Dio Apollo, il dio del Sole.
Napoli è la città del sole dalla sua fondazione, poiché venne subito dedicata al Dio Apollo.
Oggi al posto del tempio di Apollo vi è la Cattedrale con il personaggio più sacro di Napoli, San Gennaro!
Soffermiamoci in un tipico vico di Napoli, quelli proprio da cartolina, quelle stradine strette in cui non vedi il sole, ma vedi il cuore di Napoli.
VICO SAN DOMENICO MAGGIORE è stato nominato il vico creativo, perché il Comune ha dato agli Street Artist la possibilità di realizzare le loro installazioni con le bombolette o con la carta.
Guardiamo Partenope, che troviamo sia in una versione classica, come tutti la conosciamo, con la coda, sia nella versione metà donna-metà uccello realizzate dall’artista Tra La La, che ha inventato le “ciacione”, ovvero le sirene grosse.
I murales divengono un mezzo per far passare messaggi sociali, come quello su Ellis Island a New York, dove giungevano i nostri migranti, hanno aggiunto il giubbetto dei moderni immigrati per creare un parallelismo con la situazione attuale, affinché non ci si dimentichi che siamo stati anche noi immigrati.
“Vuttamme e mmane” letteralmente significa picchiare, ma qui vuol dire stendiamo le mani al prossimo.
Altra immagine è un pulcinella pizzaiolo contro McDonald, si vuol dire di no alla standardizzazione dei sapori e valorizzare un patrimonio mondiale, quello della pizza.
Di cosa ti rendi conti passeggiando per il centro di Napoli? Non puoi non comprare un cornicello ed un pacco di calzini dai venditori ambulanti.
Il cibo per le strade di Napoli la fa da padrone, trovi ad esempio il casatiello, un impasto di pane fatto con la sugna e ripieno di salumi ed uova, che è una pietanza tipica di Pasqua, ma che in realtà è presente tutto l’anno. Nasce come piatto unico, ma poi è diventato un antipasto.
Anche la pastiera è un dolce pasquale, ma la si può gustare anche il resto dell’anno.
Poi c’è il babà, che va bene non solo tutto l’anno, ma anche tutto il giorno. A questo proposito, sotto la Galleria Umberto I c’è Mary, un buco di un metro per un metro che ne sforna in continuazione e fa delle sfogliatelle che sono mitiche.
La sfogliatella nasce nel convento di Santa Rosa ad Amalfi, tanto che in costiera la chiamano ancora ‘a Santa Rosa, la sfogliatella non ha la forma di un ventaglio, ma dell’organo riproduttivo femminile.
Nel centro c’è Scaturchio o Capparelli, ma in generale per capire se un posto vende delizie, bisogna seguire gli odori e la fila!
PIAZZETTA PIETRASANTA
Piazzetta Pietrasanta è una piazza minuscola, ma è come una macchina del tempo: c’è una Torre campanaria dell’XI secolo, la cui parte inferiore, di colore bianco, è un recupero di edifici di epoca romana. Accanto c’è un vecchio palazzo nobiliare del 1700, che è divenuto un albergo, la Basilica di Santa Maria Maggiore è barocca, quindi siamo nel 1600, e vicino vi è una cappella privata, dedicata alla moglie defunta di Giovanni Pontano, che è stato il padre dell’umanesimo a Napoli; infine abbiamo una chiesa rinascimentale del 1400.
In luogo della chiesa barocca esisteva in precedenza un’altra chiesa contemporanea del campanile, infatti la piazzetta, la chiesa e il campanile portano tutti e tre il nome di Pietrasanta con riferimento ad una pietra con l’incisione di una croce, che riceve la benedizione del Vescovo.
Si dice, infatti, che se tocchi una pietra santa, ricevi immediatamente la remissione dei peccati.
La pietra santa è stata posta dove un tempo c’era il tempio di Diana, la dea della caccia e protettrice delle donne, le cui sacerdotesse erano chiamate le Dianare, in onore alla dea. Con la venuta del Cristianesimo, le Dianare furono etichettate come streghe.
Come si può ben intuire, iniziarono a circolare leggende: si diceva che quando si riunivano, la piazza fosse invasa dal diavolo, che compariva ogni notte sotto forma di un maiale gigante, che terrificava i fedeli con il suo grugnito spaventoso.
Una notte il Vescovo ebbe in sogno la Madonna, che gli indicò di andare al Tempio di Diana, dove avrebbe trovato una pietra avvolta in un lenzuolo azzurro e con essa avrebbe dovuto edificare un tempio dedicato alla Madonna.
Nella tradizione napoletana le Dianare sono rimaste con il nome di JANARE, spiritelli che entrano in casa di notte.
La tradizione napoletana è ricchissima di leggende legate a spiriti e fantasmi, come ad esempio il famoso monacello, uno spiritello tratto da una storia vera.
Chi era il MONACELLO? Era un bambino affetto da nanismo ed abbigliato con un saio, in quanto cresciuto in convento.
Si narrava portasse sfortuna e così fu assassinato. Da ciò nacque la leggenda secondo cui se il monacello ti entra in casa, può farti un dispetto o portarti un dono.
Ma com’è nata questa leggenda? Nel sottosuolo, dal 1500 in poi c’erano i “Pozzari”, ovvero i manutentori dell’acquedotto, i quali scendevano e salivano dai pozzi.
Date le dimensioni dei pozzi, venivano scelti uomini di piccola statura con una certa agilità; per proteggersi dall’umidità, indossavano dei mantelli con i cappucci, che conferiva loro un aspetto da piccoli monaci.
I Pozzari entravano in tutte le case e si diceva che, in assenza dei mariti, si intrattenessero con le mogli e che portassero loro in dono gioielli rubati da altre case.
Quando il marito tornava a casa, la moglie giustificava la presenza del gioiello, asserendo che il Monacello era passato a trovarli portando loro un dono.
A differenza del Monacello, la Janara fa solo dispetti, ad esempio si dice che venga a trovarti la sera quando hai mangiato in modo pesante, poiché la Janara entra in casa e ti si mette sullo stomaco. Ovviamente, a tutto c’è un rimedio e per evitare l’arrivo di questa donna malefica, basta mettere una scopa fuori dalla porta e lei passerà il tempo a contarne i fili, nel frattempo arriva il giorno e lei va via.
Ci sono spiriti buoni come la BELLA ‘MBRIANA, uno spirito di donna che protegge le case dei napoletani.
Chi era la bella ‘Mbriana? E’ la storia vera della figlia di un nobile innamorata di un uomo che non la ricambiava. La povera giovane si lascia andare, vagando per strada come un’anima in pena.
Il padre cominciò a pagare le persone per farla entrare in casa loro per darle conforto, quando la vedevano passare. Ed è così che far entrare in casa un’anima in pena ha fatto nascere la leggenda della bella ‘Mbriana, secondo la quale quando si entra in casa, si deve dire “buongiorno”, si deve salutare entrando, ma anche andando via.
Ho un ricordo legato ad un signore centenario di Napoli, che mi raccontava che lui salutava tutti i giorni la ‘Mbriana, entrando ed uscendo di casa, mai a non farlo!
La presenza dei fantasmi a Napoli è avvertita ovunque; ad esempio, nel 1600, durante gli anni della peste, Piazza Dante venne utilizzata come un lazzaretto e vi morirono molte persone. I defunti erano trasportati via, ma rimanevano i loro spiriti, pertanto, si ritiene che i palazzi attorno a Piazza Dante siano infestati dai fantasmi.
Soffermiamoci sotto la Torre Campanaria per notare i resti romani, la tabula lusoria, ossia una vera e propria scacchiera, con cui i soldati giocavano durante la pausa tra le guerre.
Parlando si Napoli, possiamo non parlare di Pulcinella?
PULCINELLA
A Vico Purgatorio troviamo la statua di PULCINELLA, per godere della fortuna, bisogna strofinare la gobba ed il naso.
C’è chi fa risalire il personaggio di Pulcinella alle commedie romane: nelle Atellane il personaggio Maccus incarna tutte le prerogative che furono poi della maschera di Pulcinella.
La versione più accreditata di Pulcinella vuole che lui si chiamasse Puccio D’Aniello, un contadino di Acerra, che un giorno decise di seguire la compagnia di un circo e così nel 1600 nacque la maschera di Pulcinella all’interno della commedia dell’arte.
Pulcinella è un personaggio che ufficialmente di mestiere fa il guardiano delle galline, caratterialmente è un personaggio pigro, ma che cerca di arrangiarsi in tutti i modi.
E’ un uomo furbo, ma ironico, ma è una qualità la città di Napoli, Pulcinella incarna la napoletanità, che è una contraddizione di fatto, è sacro e profano, è superstizione e devozione.
SANTA MARIA DELLE ANIME DEL PURGATORIO AD ARCO
Arriviamo alle CAPUZZELLE, che non sono teschi, ma piccole teste.
A Napoli esiste Il Culto delle Anime Del Purgatorio, che viene associato con le capuzzelle.
La nascita del culto risale al 1600, quando in assenza dei cimiteri, i morti venivano seppelliti nelle chiese. Vi era una differenza di sepoltura tra i ceti sociali: le famiglie nobili seppellivano i membri delle proprie famiglie in cappelle chiuse, i poveri, invece, trovavano sepoltura tutti insieme negli ipogei, in grandi fosse comuni, in cui non c’erano lapidi e diventavano anime senza nome.
Secondo la religione cristiana, le anime devono necessariamente passare per il Purgatorio, dove si possono purificare per giungere poi in Paradiso, ma, affinché ciò avvenga, l’anima deve ricevere le preghiere di chi è in vita.
Il Culto delle Anime del Purgatorio nasce proprio per i poveri, coloro che non avrebbero mai avuto nessuno a pregare per loro, le cosiddette ANIME PEZZENTELLE, che deriva dal latino petere, chiedere.
Quando è nato questo culto, SANTA MARIA DELLE ANIME DEL PURGATORIO AD ARCO a Via dei Tribunali è stata la prima chiesa costruita e dedicata alle anime del Purgatorio.
Si andava in chiesa e si pregava per le anime, una volta liberata un’anima, si poteva chiedere per sé una grazia.
Ad un certo punto, non ci si limitò più solo a pregare, ma fisicamente la gente cominciò ad andare negli ipogei, a scegliere le capuzzelle ed ad adottarle, che voleva letteralmente dire prendersene cura, come? Lavandole, asciugandole ed è questo il motivo per cui si strofinano, ed ancora si mettevano i cuscini per farle stare comode, venivano costruite le casette intorno per farle sentire in famiglia, La capuzzella divenne un membro della famiglia senza nome, che veniva affidato di generazione in generazione e si pregava espressamente per quell’anima.
Si cominciarono a chiedere grazie, ma anche i numeri al lotto; ci si può chiedere come avvenissero queste comunicazioni, il mezzo tra il vivente e le anime era il sogno; se ti sognavi i numeri la notte, potevi esser certo che era l’anima del Purgatorio che avevi adottato.
Per quanto possa sembrare macabro, Napoli ci dà un’altra lezione: per un napoletano la capuzzella è vita, non è morte. E un’anima chi ha bisogno del nostro aiuto e che lo ricambia se ne abbiamo bisogno.
Si vedono tutte queste capuzzelle con le scritte “per grazia ricevuta” e se la vedi al contrario con la faccia rivolta verso il muro, la capuzzella non ha fatto il suo dovere.
Nell’ipogeo della Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio, esiste una capuzzella più famosa delle altre, riconoscibile da un velo: è Lucia D’Amore, sulla cui figura corrono tante storie, ma quella più ricorrente dice che Lucia sia morta prima del matrimonio e quando è diventata una cappuzzella, l’hanno consacrata come la patrona delle donne che vogliono trovare marito.
Le donne in cerca di marito sono avvisate, qui a Napoli si fanno miracoli, perché non basta Lucia D’Amore, c’è anche un santo patrono che si occupa delle zitelle, è San Raffaele Arcangelo e qui la storia si fa più complessa e tutti subito pensano male!
Quando una donna non riesce a trovare marito, si dice che deve baciare il pesce di San Raffaele. Lo so, il detto dice che “a pensar male, si fa peccato, ma ci si azzecca”, qui si fa solo peccato.
Nella Bibbia si racconta che San Raffaele avesse accompagnato Tobia a pescare un pesce e che da questo pesce avessero estratto la sostanza con cui curarono la cecità del padre di Tobia.
Durante il viaggio alla ricerca del pesce, Tobia incontrò Sara, la futura moglie, così è diventato il patrono delle zitelle.
Le donne in cerca di marito devono andare alla Chiesa di San Raffaele Arcangelo e baciare il pesce di bronzo rappresentato ai piedi della statua del Santo.
In quale data si fa questo rito? A San Valentino!
PIAZZA SAN GAETANO
PIAZZA SAN GAETANO fu una agorà in epoca greca ed un foro al tempo di romani. Qui si intersecano via di San Gregorio Armeno, via dei Tribunali e giù Spaccanapoli.
BASILICA DI SAN LORENZO MAGGIORE
I resti romani sono visibili all’interno della Basilica di San Lorenzo, i cui ritrovamenti sono stati rinvenuti durante i lavori di ristrutturazione, in cui sono venuti fuori i resti del mercato romano.
Si scende di 10 metri e si cammina sulla strada originale romana, è una macchina del tempo che ti riporta a quello che era il livello originale dell’antica Neapolis.
San Lorenzo è un convento importante perché era la sede del Regno di Napoli, vi si riuniva il Parlamento della città. Vi sono state personalità come Petrarca e Boccaccio, si dice che il Boccaccio si intrattenesse qui con Fiammetta, che era la figlia illegittima del re Roberto d’Angiò.
San Lorenzo è un esempio di arte gotica, è angioino, la sua costruzione risale alla fine del 1200 con Carlo d’Angiò. Nel 1600 la Basilica diviene barocca e ritorna gotica dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.
Nel 1943 Napoli subisce 200 ore di bombardamenti consecutivi, che colpiscono anche San Lorenzo. Quando hanno ricostruito la Chiesa, l’hanno riportata alla sua forma originale: la struttura è rimasta gotica, le colonne a destra e sinistra sono recupero del foro e quindi sono di epoca romana, il soffitto è stato rifatto dopo la guerra, l’arco è quello più ampio del medioevo italiano.
Durante i lavori di ristrutturazione in cui hanno rinvenuto il mercato romano, all’interno della Chiesa hanno trovato il pavimento di una Basilica Paleocristiana del VI secolo, precedente alla Chiesa stessa ed è visibile sull’altare.
La cappella alla sinistra dell’altare è fatta di marmi e pietre preziose del barocco napoletano, tutti i ghirigori sono fatti di madreperla, lapislazzuli, corniola, alabastro, sono chiamati i commessi marmorei e sono tipici del barocco napoletano.
Il presepe, che qui ritroviamo, è un omaggio ai presepi come erano fatti una volta nel 1500, quando erano a grandezza naturale e dipinti a mano. Dal 1600 in poi si comincia ad utilizzare la terracotta e le dimensioni diventano più contenute.
Nel classico presepe napoletano, dal 1600 ad oggi i personaggi sono realizzati ancora con la medesima tecnica: hanno la testa, le mani ed i piedi in terracotta ed il corpo è un filo di ferro, avvolto da stoffa e per ogni pastore gli abiti sono cuciti a mano.
Il secolo d’oro del presepe napoletano è stato il 1700 sotto il regno di Carlo III di Borbone. Quando Carlo III giunse a Napoli, vide i presepi, che erano presenti solo nelle chiese, ma il Re se ne innamorò e comincio a farseli costruire per la propria reggia.
Pensiamo, infatti, che a Caserta c’è una stanza costruita per contenere il presepe e sono più di 800 pezzi. I nobili della corte non volevano essere da meno e cominciarono anche loro a farsi fare i pezzi del presepe, così il presepe è uscito dalla dimensione ecclesiastica per entrare nelle case dei napoletani.
La particolarità del presepe napoletano non è solo nelle sue fattezze, ma anche nella sua rappresentazione: per la nascita di Cristo non abbiamo la Grotta di Betlemme, ma un tempio pagano in rovina, il significato simbolico era che il Cristianesimo aveva vinto sul Paganesimo.
Troviamo Benino, diminutivo di Beniamino, che è il pastore che dorme; non è l’ubriacone perché tiene la fiaschetta in mano e dorme, Benino rappresenta il risveglio della fede, perché quando aprirà gli occhi, assisterà alla nascita di Cristo.
Nelle rappresentazioni grandi del presepe napoletano, i Re Magi sono seguiti dal corteo degli Orientali, personaggi con la pelle scura, i turbanti, i pantaloni con il cavallo basso, e ci sono le scimmie.
E’ la ricostruzione di quando Re Carlo ospitò a Napoli la corte ottomana per stringere i rapporti per le rotte commerciali, quando gli Ottomani giunsero a Napoli così sfarzosi e sontuosi, ne rimase talmente affascinato che li fece inserire nel Presepe sotto forma di seguito dei re Magi.
Riusciamo sul decumano ed incamminiamoci per i vicoli di Napoli, bisogna fermarsi dove vi sono portoni aperti per ammirare le famose scalinate.
La scala più conosciuta è quella di Palazzo Sanfelice, utilizzata anche da de Filippo in Questi fantasmi.
Palazzo Sanfelice si trova nel Quartiere Sanità e prende il nome da Ferdinando Sanfelice, l’architetto che ha progettato questo tipo di scala, chiamata ad ali di falco, con le rampe che si incrociano e poi però è completamente aperta.
Quando Sanfelice ideò questa scala, i napoletani rimasero perplessi, la consideravano pericolante, tanto che Sanfelice venne soprannominato “Ferdinà, livt’ da sott”, perché pensavano che la scala potesse crollare.
Dirigiamoci verso il Duomo, dove si conservano le reliquie di San Gennaro
DUOMO DI NAPOLI
La Chiesa è dedicata alla Madonna dell’Assunta, in quanto precedente a San Gennaro.
San Gennaro è il primo Santo Patrono napoletano, ma non è l’unico, in totale vi sono 52 Santi Patroni ufficiali, ad ognuno di loro è legata la protezione di qualcosa.
Ad esempio, San Tommaso d’Aquino, che fu professore a Napoli, protegge gli studenti, Santa Rosalia, Santa di Palermo che aveva curato la peste nella città sicula nel 1527, nel 1656 viene invocata a Napoli per essere liberati dalla peste.
C’è poi Sant’Aspreno, che cura l’emicrania, e da qui si comprende che il nome del farmaco più conosciuto al mondo, l’aspirina. Pare che fu proprio un napoletano, Raffaele Piria, ad aver isolato il principio attivo, l’acido salicilico, dell’aspirina ed a dare al nuovo farmaco nuovo il nome del santo protettore del mal di testa.
Gennaro è il protettore ufficiale della città e lo fa rinnovando il miracolo del sangue, che avviene tre volte l’anno: il 16 dicembre, a ricordo di San Gennaro che salvò Napoli da una delle tante eruzione del Vesuvio; la data più importante è il 19 settembre, che è il giorno della sua morte, ed avviene il miracolo più importante; l’ultimo miracolo di sangue avviene il primo sabato di maggio, che ricorda la traslazione delle reliquie del Santo.
Ma si può immaginare una festa più grande si quella del miracolo di San Gennaro?
La città intera partecipa al miracolo, con un maxi schermo posto fuori del Duomo e le strade gremite di gente.
La Cattedrale nasce come chiesa gotica, ma poi viene trasformata in chiesa barocca ed è rimasta tale.
Entriamo nel Duomo, che è tutto rivestito di marmo, il soffitto a cassettoni è di legno, dipinto in oro; sull’Altare Maggiore c’è la statua di Madonna dell’Assunta, a cui la Chiesa è dedicata.
Nella cappella del Comune sono custodite le reliquie del Santo ed il suo sangue viene chiuso a chiave nell’ampolla montata all’interno di una cornice d’argento ed è posta dietro l’altare.
Ci vogliono due chiavi per aprire la cassettina: una è custodita dal Vescovo di Napoli in rappresentanza della Chiesa, l’altra dalla Deputazione del Tesoro di San Gennaro, ovvero un gruppo di nobili scelti all’epoca della fondazione della cappella.
La cappella non appartiene alla Chiesa, ma alla città di Napoli.
Dei tre miracoli, in quello del 16 maggio, una volta verificatosi il miracolo, si esce in processione dalla Chiesa percorrendo Spaccanapoli, si arriva al Monastero di Santa Chiara, si celebra un’altra messa e poi si torna indietro.
Il busto di San Gennaro è completamente in oro ed è un busto reliquiario, poiché all’interno è custodita la testa di San Gennaro.
La prima datazione del miracolo è del 1389 e si ripete da oltre 600 anni: alla fine della messa, viene scossa l’ampolla per vedere se il sangue si scioglie all’interno. Se ancora fosse solido, si farebbero più tentativi fino alla messa della sera.
La comunità scientifica cerca una spiegazione sullo scioglimento del sangue, ma non si è mai trovata. Non si riesce a comprendere perché riesca a rimanere sciolto per otto giorni e già il nono si risolidifichi.
Probabilmente qualche volta avrai pensato che potrebbe cascare dalle mani del Cardinale durante la funzione, l’escamotage c’è, ha un cordino al collo per mantenerlo.
Anche Papa Francesco nel 2015 ha assistito al miracolo della liquefazione del sangue ed è famosa la scena delle incontenibili suore di clausura e del mitico Cardinale Sepe.
Ma chi è San Gennaro? San Gennaro fu un Vescovo di Benevento, vissuto ne IV secolo d.C. durante le persecuzioni di Diocleziano, quando il cristianesimo non era ancora riconosciuto come religione ed i cristiani venivano martorizzati.
San Gennaro fu decapitato ed in quel momento venne raccolto il sangue, che ancora vediamo liquefarsi.
La Chiesa cattolica riconosce la liquefazione del sangue di San Gennaro come un miracolo, in quanto risulta dalle analisi esser il sangue di una persona vissuta nel IV secolo.
Usciamo dal Duomo per rientrare nei vicoli del centro, per notare che a Napoli le edicole votive si trovano in ogni dove e sono dedicate alla Madonna o ai Santi.
LE EDICOLE VOTIVE NEI VICOLI
La tradizione delle edicole votive nasce nel 1700 per risolvere due problemi della città, quello dell’illuminazione delle strade e quello della criminalità.
Immaginiamo la notte di Napoli nel 1700 con i suoi vicoli stretti e bui, i rapinatori avevano inventato una tecnica di rapina, la “a fun e nott”, ovvero i ladri erano soliti agire in coppia, mettendosi da un lato all’altro del vicolo tendendo una corda, così il malcapitato passante cadeva e veniva rapinato.
Il Re Ferdinando IV di Borbone per trovare una soluzione a questo problema si rivolse ad un frate domenicano, che fece riprodurre l’immagine della Madonna su tavola collocandola lungo le strade, fu così che la gente incominciò ad accendere i lumini e le strade cominciarono ad illuminarsi.
Fu un grande deterrente per la criminalità, che cominciò a diminuire, perché anche il criminale non osava spegnere il cero.
Dal 1700 in poi, le edicole votive sono ancora lì negli angoli delle strade e tutti se ne prendono cura con fiori e candele.
Nelle edicole vi erano sempre delle tettoie e delle porte, infatti l’espressione “sveliamo gli altarini” deriva da qui, quando, infatti, un nobile donava un gioiello, la sera veniva chiuso nell’altarino e la mattina seguente svelato per scoprire cosa ci fosse all’interno.
La famosa espressione “che la Madonna ti accompagni” trae la sua origine dalle edicole votive, perché con la sua illuminazione la Madonna letteralmente ti accompagnava nel cammino.
Nelle edicole votive nella zona sottostante spesso ci sono le anime del Purgatorio, perché tu ti fermi a pregare per la Madonna ed anche per le anime del Purgatorio, così le edicole sono divise in due parti: nella parte superiore c’è la Madonna o il Santo, in quella inferiore le anime rappresentate tra le fiamme in preghiera.
Tra i vicoli di Napoli si possono ammirare i panni stesi, l’asciugatrice non è proprio di questa città, i panni si stendono all’aria e i vicoli profumano la domenica di sugo, di panni stesi e di cipolle per la genovese.
A Napoli se si mangia pesante, si va dall’acquafrescaio, di cui uno storico si trova a Piazza Trieste e Trento, e si chiede il “sarchiapone”, una bevanda digestiva fatta di acqua, limone e bicarbonato, la cui reazione chimica crea una spuma che fuoriesce dal bicchiere ed a Napoli ha tutto un suo modo di essere bevuta, ovvero “a coscia raput”, a gambe aperte, proprio per evitare che questa bevanda ti cadea addosso.
Non si sa l’etimologia della parola sarchiapone, ma questa espressione ha finito per essere usata anche per le persone, quando si vuole indicare che una persona è pesante.
Giungiamo a SPACCANAPOLI, il nome con cui i napoletani chiamano per intero la strada, perché divide la città in due lungo 2,3 km, ma il nome in sé per sé non esiste.
PIAZZETTA NILO
A Piazzetta Nilo c’è la statua del fiume Nilo, gli Alessandrini, che si trasferirono a Napoli, costruirono ha una cornucopia, simbolo dell’abbondanza, della ricchezza, ma la cornucopia deriva da un simbolo molto più antico, quello fallico.
I Romani, ad esempio, avevano una divinità chiamata Priapo, rappresentata con un fallo gigante, che usava come peso sulla bilancia per misurare la ricchezza, da un lato c’era il fallo, che pesava molto, e dall’altro il sacchetto con le monete d’oro.
A Pompei vi sono falli ovunque, collocati fuori delle botteghe o delle domus servivano ad augurarsi di essere sempre più ricchi.
I Romani scelgono il fallo come simbolo apotropaico, che oltre a portare ricchezza aveva il potere di allontanare il malocchio.
A Napoli con l’avvento del cristianesimo, il simbolo fallico divenne il mitico cornicello napoletano, che non è un peperoncino, ma un fallo stilizzato.
Perché non te lo puoi comprare per te, ma lo devi regalare? Perché non ti puoi comprare la fortuna! Non ti basta, però, comprarlo, lo devi anche attivare prima di regalarlo e come si fa? Devi fare un semplice rito: con la punta del corno, pungi la mano destra della persona a cui lo stai regalando; la persona, che lo ha ricevuto in dono, lo passa nella mano sinistra e la chiude, così il corno si attiva.
CAPPELLA SANSEVERO
Giungiamo ad un vero e proprio capolavoro del barocco napoletano: la Cappella Sansevero.
La famiglia Di Sangro, Principi di San Severo nel nord della Puglia, si trasferiscono a Napoli alla fine del 1500, comprano un Palazzo a Piazza San Domenico Maggiore e cominciano la costruzione della Cappella, progettata per essere un monumento funebre.
L’aspetto con cui noi la vediamo oggi è quello settecentesco, realizzato da Raimondo di Sangro, settimo Principe di San Severo, un uomo affascinantissimo, una personalità unica, un letterato, uno scienziato, un inventore, basti pensare che ha inventato l’impermeabile, il pedalò, ovvero la carrozza che pedalava sull’acqua, i fucili con la retrocarica per l’esercito borbonico.
Aveva una mente brillante ed era un alchimista ed un massone, è proprio Raimondo di Sangro ad avere introdotto la massoneria a Napoli ed ha trasformato la cappella di famiglia in un tempio massonico.
Nulla è lasciato al caso, vi sono simboli massonici nascosti un po’ ovunque, messaggi rivolti agli iniziati della loggia massonica, a coloro che sono in grado di leggerli.
La volta rappresenta il Paradiso con i Santi della famiglia di Sangro, che sono rappresentati in verde, i colori per dipingere la volta sono stati un’invenzione di Raimondo, tanto che questi affreschi del 1759 non sono mai stati modificati ed hanno mantenuto la loro brillantezza.
Al centro della volta c’è la Colomba, ovvero lo spirito Santo, che ha nel becco il triangolo, che è il simbolo della trinità, ma è anche simbolo massonico.
I gruppi scultorei tutto attorno sono delle tombe, sopra la porta d’ingresso c’è la tomba di Cecco di Sangro, che racconta un episodio realmente accaduto.
Cecco, antenato di Raimondo, era il comandante dell’esercito di Filippo II di Spagna.
Durante una battaglia, Cecco si finse morto, fu messo nella cassa e portato nella rocca nemica. Dopo due giorni, uscì dalla cassa con la spada, creando il terrore tra tutti e così riuscì a vincere.
Il processo di iniziazione massonico si compie sull’altare, dove al centro c’è il Cristo.
E’ un gruppo scultoreo che Raimondo fa dedicare alla madre, Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona, ed è un’allegoria della Sapienza, una donna con il velo.
La madre viene a mancare quando Raimondo aveva solo un anno e mezzo e, divenuto grande, il Principe decide di renderle omaggio con una statua, la Pudicizia di Antonio Corradini, un tributo all’intelligenza della mamma, in chiave massonica questa è una conoscenza velata, perché poteva essere acquisita solo da chi fosse stato degno di compiere il processo di iniziazione.
Nella parte sottostante, viene rappresentato l’episodio biblico del Cristo che incontra Maria Maddalena nell’orto e lei dice “noli me tangere”, non mi toccare. Poniamo l’attenzione su Cristo, che ha sotto al braccio una vanga, che simbolicamente rappresenta il lavoro degli iniziati alla loggia massonica, ovvero il lavoro che dovevano compiere sul loro stessi per acquisire la conoscenza.
Si evince, quindi, che un semplice gruppo scultoreo dedicato alla madre poteva nascondere una serie di messaggi comprensibili solo da pochi eletti.
Tutta la cornice intorno è fatta di lapislazzuli, è una cappella barocca in cui il marmo è presente ovunque.
Abbiamo la deposizione di Cristo e la morte di Cristo, ma di Gesù non viene rappresentata solo la morte, perché sotto c’è un angelo che scoperchia il sepolcro e così sta anticipando la resurrezione; per i massoni non aveva senso rappresentare solo la morte, morte e risurrezione andavano una accanto all’altra: al termine del processo di iniziazione, vi era la morte dell’iniziato come uomo per rinascere come massone.
Tra le altre cose la donna con il velo era anche il modo in cui nell’antichità veniva rappresentata la dea Iside, che è la dea della rinascita. Nella Cappella Sansevero, ci troviamo in quello che viene chiamato il “triangolo egiziano di Napoli”, dove nell’antichità c’era sicuramente un Tempio di Iside, di cui Raimondo era a conoscenza. Il Principe di Sangro è colui che introduce a Napoli la massoneria come rito egizio.
La cupola è finta ed è dipinta da affresco, un trompe l’oeul,
si vuole ingannare l’occhio: mentre noi siamo qua, la cupola sembra venire verso di noi, se ci spostiamo più in là, sembrerà sempre venire verso di noi, è studiata con l’illusione ottica di seguire lo sguardo dell’osservatore.
Da un lato abbiamo visto la tomba della madre, dall’altro quella del padre.
Alla morte della madre di Raimondo, il padre Antonio, duca di Torremaggiore, lascia il figlio al nonno Paolo e se ne va in giro per il mondo: quando è anziano torna a Napoli e decide di spogliarsi di tutti i peccati compiuti, così questa statua di marmo, chiamata Disinganno, lo rappresenta come un uomo che simbolicamente si sta liberando da una rete, aiutato da un genietto alato con la corona di fuoco, che è il simbolo della purificazione, ma anche di umano intelletto, che doveva sempre prevalere su tutto.
Al di sotto c’è l’episodio biblico di Cristo che ridà la vista al cieco, è un messaggio celato, questo perché gli iniziati alla loggia massonica entravano bendati e venivano sbendati quando erano pronti per ricevere la luce della massoneria.
La rete è un capolavoro, è stata scalpellata dall’interno ed è un pezzo unico di marmo.
Quando giunsero i nazisti a Napoli, pensarono che questa rete fosse un inganno e la colpirono con il calcio della pistola, tanto che si vede ancor oggi un pezzo mancante alla base. L’autore di questo capolavoro è Queirolo.
La statua senza dubbio più stupefacente, il capolavoro assoluto della Cappella, è il CRISTO VELATO, che avrebbe dovuto farlo Corradini, ma che purtroppo morì nel momento di iniziarlo.
Subentrò, pertanto, l’unico scultore napoletano a lavorare nella cappella, Giuseppe Sammartino, che prima di fare il Cristo velato, scolpiva le statuine del presepe.
Ebbene sì, Sammartino era un maestro presepiario, faceva le statuine di terracotta e di ceramica.
Il giovane artista è stato capace di scolpire il Cristo Velato in sei mesi da un unico blocco.
La statua rappresenta il Cristo deposto dalla croce su cui è stato adagiato un velo, da cui si riesce a percepire tutta l’anatomia del corpo: i muscoli, i tendini, le unghie dei piedi, le stigmate, le ossa.
I chiodi e la tenaglia sono simboli della massoneria, soffermati a guardare la perfezione del materasso, che è più basso da un lato, perché il corpo di Cristo tende ad andare a destra, e quindi crea un effetto diverso rispetto alla sinistra, e dietro ha messo la firma scritta in latino, Joseph Sammartinus fecit Neapolis 1753.
Quando Antonio Canova vide quest’opera, disse che avrebbe voluto dare quarant’anni della sua vita per fare un’opera del genere!
La grandezza di Sammartino è quella di aver ricreato la morbidezza della carne con il marmo.
Tutto ciò ha fatto nascere intorno alla figura di Raimondo una leggenda nera, come se si fosse venduto l’anima al diavolo pur di acquisire una conoscenza, che umanamente è impossibile e si racconta che ci fosse la sua mano da alchimista in tutte le opere della Cappella.
Sulla tomba di Raimondo abbiamo un suo ritratto, ricordiamo che le tombe in passato erano commissionate quando le persone erano ancora in vita, anche la tomba di Raimondo è un’esaltazione del personaggio e della sua famiglia.
A terra abbiamo un pavimento a labirinto, che dona quasi un effetto 3D e fu un disegno di Raimondo. Inizialmente questo pavimento era in tutta la cappella, ma poi si sono danneggiate le lastre per problemi di infiltrazioni e le hanno sostituite con la terracotta.
Scendiamo giù nella cripta, che prima di rendere la Cappella un Museo era il luogo in cui vi era il Cristo Velato, perché lui è il compimento del processo di iniziazione.
Nel momento in cui hanno trasformato il luogo in un museo, il Cristo è stato messo al piano terreno e sotto hanno collocato le cosiddette “Macchine Anatomiche”, ovvero due scheletri veri.
C’è una versione ufficiale ed una versione leggendaria che riguarda i due scheletri: quella ufficiale vuole che Raimondo avesse chiamato un suo amico medico palermitano e con la cera d’api e con i coloranti fece riprodurre l’apparato cardiocircolatorio; la leggenda vuole che Raimondo avesse inventato una sostanza che iniettò nel corpo di due servi e che questa sostanza, appena entrata in circolo, avesse metallizzato l’apparato cardiocircolatorio, per poi scuoiarli ed esporli in casa.
Le Macchine Anatomiche erano a casa di Raimondo in una stanza chiamata della Fenice e si sa che la fenice risorge dalle ceneri; davanti c’erano due fuochi fatui, che è un processo chimico, ma incomprensibile per gli uomini contemporanei a Raimondo, un fuoco che non si spegneva mai destava meraviglia.
Ovviamente quale sia la verità su come siano state realizzate le Macchine Anatomiche, non lo sapremo mai.
Anche la morte di Raimondo è avvolta dal mistero e ce la racconta proprio Benedetto Croce.
Pare che Raimondo avesse capito che era arrivato il momento della morte e che volesse risorgere. Pertanto, organizzò uno stratagemma: si fece tagliare a pezzi e rinchiudere in una cassa, che però non sarebbe dovuta essere aperta sino ad una data precisa.
I parenti, invece, l’aprirono prima della data stabilita, quando questo processo di saldatura del corpo non era ancora ultimato; La leggenda vuole che per un istante Raimondo si sia sollevato dalla tomba, emettendo un urlo agghiacciante e svanendo,
Il corpo di Raimondo non è mai stato trovato!
Raimondo fu un genio interpretato in maniera negativa.
La pavimentazione viene ripresa dal mondo antico e questa cappella fu restaurata nel 1700, nel secolo in cui furono realizzate le scoperte archeologiche di Pompei ed Ercolano e si tendeva a riprodurre le decorazioni del mondo romano, questo tipo di decorazione si chiama “il meandro”, che poi Raimondo sviluppò.
La Cappella Sansevero è il museo napoletano più visitato e sicuramente merita una visita e tutta la coda che dovrai fare.
Vi lascio con questo capolavoro con la certezza che chi visita Napoli una volta, ci lascia il cuore e dovrà necessariamente tornare a prenderselo.
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