Una passeggiata tra le antiche strade di Roma in un giorno qualunque ti ricorda, se mai ce ne fosse bisogno, quanto sia straordinaria questa città e come il tempo per lei sia una stratificazione di architetture, storie, religioni, culture e vita quotidiana sotto un cielo blu.
Nel cuore del Rione Sant’Angelo, ti può capitare di imbatterti in un’antica iscrizione che ricorda che per quasi 2000 anni quel luogo è stato una pescheria o potresti passare sotto un Arco che porta il nome di un casato noto per la sua bellissima e sfortunata giovane assassina.
Ed ancora potresti ammirare una Fontana avvolta da una leggenda d’amore, ritrovarti davanti ad una splendida Sinagoga, stile Art Nouveau, che ti “dice” che sei tra le strade dell’antico “serraglio degli Ebrei”. Potresti camminare su delle pietre d’inciampo, inserite nel pavimento tra i sanpietrini, a memoria perpetua di una delle pagine più tristi e dure della storia del mondo.
Siamo nel GHETTO, il secondo più antico dopo quello di Venezia.
Facciamo un salto indietro nel tempo di 2000 anni per raggiungere il Portico di Ottavia.
TEATRO MARCELLO
Prima di entrare nel Ghetto, soffermiamo il nostro sguardo sul TEATRO MARCELLO, il “piccolo Colosseo”, e quanti turisti, stranieri e non, sono stati tratti in inganno dalla sua forma ed hanno immaginato di essere proprio di fronte al monumento più famoso del mondo, il Colosseo!
Questo Teatro, costruito sopra il precedente Circo Flaminio del 221 a.C., viene fatto erigere nel 14 d.C. per volere di Augusto e chiamato così in onore di Marcello, il giovane figlio di Ottavia, sorella dell’imperatore, morto a soli 20 anni. E’ l’unico Teatro dell’antica Roma che è ancora in piedi, ricordiamo che il Colosseo è un anfiteatro.
Con le arcate doriche e ioniche, il Teatro Marcello era un semicerchio costruito con corridoi sovrapposti ed una capienza di spettatori tra i 15.000 ed i 20.000. La parte interna era in tufo ed aveva le decorazioni in marmo ed in travertino, che lo rendevano bianco splendente.
In epoca medievale, sopra il Teatro vengono elevate delle costruzioni, fatte dalla famiglia Savelli, ancora visibili, e girando lo sguardo si possono vedere le alte colonne, che è ciò che rimane dei TEMPLI DI BELLONA ED APOLLO SOSIANO, che sorgevano in questa zona già prima del Teatro Marcello.
PORTICO D’OTTAVIA
Avanziamo verso il PORTICO D’OTTAVIA, fatto costruire da Augusto nel 23 d.C.
Chi era Ottavia? Era la sorella adorata di Augusto, di sei anni più grande, la cui storia è decisamente degna di una moderna ed avvincente serie Sky e Netflix.
Sposata con Claudio Marcello, la bella e raffinata Ottavia rimane vedova con due figli ed uno in attesa.
Alla morte di Cesare, la successione al potere non fu di certo facile: Ottaviano era l’erede designato da Cesare e Marco Antonio l’erede politico del grande stratega. Cosa fa Ottaviano? Pensa bene che la sorella possa diventare l’ago della bilancia di una situazione di potere intricata e difficile. Deve sposare Marco Antonio! Ottavia attendeva un figlio dal defunto marito e la legge non le permetteva di risposarsi prima di un certo tempo, così Ottaviano ottiene dal Senato una delega speciale per lei ed Ottavia acconsente alle nozze.
Marco Antonio però aveva perso la testa per Cleopatra e con lei vi aveva fatto anche due figli…ma il matrimonio con Ottavia avvenne e lo allontanò da Cleopatra! Insomma, non mi dilungo, ma le storie dei Romani rimangono le più avvincenti di sempre!
Torniamo al Portico d’Ottavia e com’era. Ottaviano aveva fatto fare le cose in grande, era un porticato per il passaggio delle persone ed era decorato con pitture e sculture. C’erano due Templi, uno dedicato a Giove e l’altro a Giunone, c’erano delle biblioteche, era rettangolare e delimitato da una doppia fila di colonne, 113 metri per 35 metri.
FORO PISCARIO
Nel Medioevo questa zona si chiama FORO PISCARIO o Foro Piscium, poiché qui c’era il mercato del pesce, che ha resistito sin al 1885. Dalla costa le imbarcazioni cariche di pesci arrivavano al Porto di Ripa Grande, che si trovava lì vicino.
Nel 755 d.C. Papa Stefano II costruisce la CHIESA DI SANT’ANGELO IN PESCHERIA, proprio in memoria di questo mercato che si perpetuava da secoli.
Il mercato era molto caratteristico ed era l’unico mercato del pesce della città, in cui alle 2 di notte si svolgeva l’asta del pesce. Ci andavano tutti, poveri, bottegai, mercanti, i cuochi delle famiglie nobili, ma anche i nobili stessi, che a quell’ora in abito elegante dopo una bella serata facevano una capatina al mercato prima di ritornare a casa. Possiamo solo immaginare quanto fosse animata e chiassosa la notte in questa parte della città, sicuramente uno squarcio di vita vera.
Terminata la vendita del pesce, i più poveri venivano qui la mattina presto a prendere tutti gli scarti e ne facevano il brodo di pesce, una pietanza povera e tipica di questa zona di Roma, poi divenuta nei secoli prelibata.
A ricordo del mercato, c’è una scritta in latino “Capita piscium hoc marmoreo schemate longitudine maiorum usque ad primas pinnas inclusive conservatoribus danto”, cosa stava ad indicare?
Tutti i pesci più lunghi di quella targa dalla testa alla prima pinna dovevano essere dati ai Conservatori.
Era una sorta di tassa che veniva pagata, ossia, tutto il pescato di dimensioni lunghe veniva tagliato dalla testa alla prima pinna e questa parte, considerata la più prelibata per una zuppa superba, veniva data ai Conservatori, il cui Palazzo era al Campidoglio.
Risalendo su Via del Portico d’Ottavia verso il Tempio Maggiore, ci ritroviamo a LARGO 16 OTTOBRE 1943, un tonfo al cuore, una targa a ricordo indelebile della deportazione di massa degli ebrei, avvenuta in quella data, ed al civico 13 di Via del Portico d’Ottavia troviamo il “portonaccio” da cui vennero deportati. Per non dimenticare mai!
TEMPIO MAGGIORE
Di fronte al Largo 16 ottobre 1943, ritroviamo il TEMPIO MAGGIORE, l’edificio sacro per la religione ebraica, costruito per unificare in un’unica sede le “Cinque Scole”, ovvero le cinque Sinagoghe della città, presenti qui dopo la bolla papale del 1555.
Nel 1889, un anno dopo che fu varato il piano regolatore per la risistemazione del ghetto, venne indetto un concorso per la costruzione della Sinagoga e venne scelto il bellissimo progetto degli architetti Armanni e Costa, che richiama lo stile dell’epoca, l’Art Nouveau, con decorazioni di fiori e della natura. Il Tempio venne inaugurato nel 1904.
MONTE DEI CENCI
Giriamo su Piazza delle Cinque Scole per “arrampicarci” sul MONTE DEI CENCI, che viene creato artificialmente dall’accumulo dei materiali di scarto del Circo Flaminio. Ci inoltriamo in questa tortuosa via per giungere all’Arco dei Cenci, ma in realtà proprio su via Monte dei Cenci c’è l’ingresso principale di Palazzo Cenci, anche se non è questa l’entrata famosa, di cui racconto dopo.
ARCO DEI CENCI
L’ARCO DEI CENCI è un passaggio creato all’interno di questo grande Palazzo Cenci ed è legato ad una leggenda di sangue.
Sotto l’Arco alcuni secoli fa c’era l’immagine affrescata di una Madonna. Il 10 gennaio 1546 due uomini cominciarono a litigare e tirarono fuori i coltelli. L’uomo minacciato dal coltello chiese pietà, tanto che l’altro lasciò il coltello ed andò ad abbracciare il suo avversario, ma venne ucciso a tradimento.
Si narra che la Madonna in quel momento avesse cominciato a piangere e che lo avesse fatto per 3 lunghi giorni. Questo evento venne considerato miracoloso e la Madonna fu meta di pellegrinaggi, tanto che la sua effigie fu tolta dal muro e venne deposta nella chiesa di Santa Maria del Pianto, nell’adiacente Piazza delle Cinque Scole.
PALAZZO CENCI
La famiglia dei Cenci era una nobile famiglia romana, presente a Roma già dal 1300. La storia della famiglia è segnata indelebilmente da quella della bellissima Beatrice, figlia di Francesco Cenci, un uomo violento, che abusava della figlia.
Mentre la sorella era riuscita tramite il matrimonio ad allontanarsi da questa situazione impossibile, a Beatrice non toccò la stessa sorte, poiché il padre non voleva pagarle la dote.
Ed è così che la bella Beatrice medita l’assassinio del padre. Chiede l’aiuto di amici e parenti, inviando loro delle lettere, ma una di queste arriva proprio nelle mani del padre e succede il finimondo. Beatrice, con la matrigna ed i fratelli, tenta per tre volte di uccidere il padre ed al terzo tentativo ha successo.
Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi e la gente si accorge della scomparsa di Francesco. I figli vengono scoperti e giustiziati a Castel Sant’Angelo insieme alla seconda moglie di lui, Lucrezia.
PIAZZA DELLE CINQUE SCOLE E FONTANA DEL PIANTO
Proseguiamo verso PIAZZA DELLE CINQUE SCOLE, chiamata così per la presenza di 5 scuole ebraiche, costruite a partire dalla formazione del Ghetto.
Nel 1587 viene realizzata la FONTANA DEL PIANTO, su progetto di Giacomo della Porta, a seguito della restaurazione dell’Acquedotto Alessandrino, detto Felice, poiché fatto durante il papato di Sisto V, al secolo Felice Peretti. Viene fatto un prolungamento sotterraneo dell’acquedotto e tutta una serie di fontane, tra cui questa di Piazza delle Cinque Scole.
CHIESA DI SANTA MARIA DEL PIANTO
La CHIESA DI SANTA MARIA DEL PIANTO, posta di fronte alla Fontana di Giacomo della Porta, è una chiesa molto particolare, poiché non ha la facciata. Sorta sull’antica area del Circo Flaminio , divenne un luogo di pellegrinaggi in quanto al suo interno custodisce la Vergine miracolosa dell’Arco.
FORNO BOCCIONE O FORNO DEL GHETTO
Continuiamo verso Via della Reginella nel cuore del Ghetto, passando per via del Portico d’Ottavia, dove consiglio di fermarsi al FORNO BOCCIONE, conosciuto come il Forno del Ghetto. Ricordo sempre quando la mia mamma mi ci portò per la prima volta ed assaggiai la pizza di Beridde, fatta di canditi e frutta secca, una prelibatezza che non mi sarei mai aspettata, odiavo i canditi! Per non parlare delle tortine ripiene di ricotta e visciole, impareggiabili!
Lasciati “rapire” dal profumo dei prodotti kosher e goditeli.
HOSTARIA DA GIGGETTO
Sempre al Portico d’Ottavia, c’è la famosa Hostaria da Giggetto con i suoi “carciofi alla giudia”, il vanto di questo ristorante, che da quasi 100 anni ci delizia con la sua cucina ebraica. E’ una specie di opera d’arte culinaria, la trasformazione di un vegetale “bruttino” in una splendida “rosa” dal sapore sublime. Se non hai assaggiato il carciofo alla giudia qui, probabilmente non saprai mai cosa sia.
COSA VUOL DIRE GHETTO?
Ghetto viene da una parola veneziana ed indicava la zona in cui c’erano le fonderie e dovevano risiedere obbligatoriamente gli ebrei. Esiste un’altra ipotesi che vuole che Ghetto derivi dalla parola ebraica Ghittin, che vuole dire separazione, divorzio.
Siamo nel 1555, Papa Paolo IV con una bolla papale Cum nimis absurdum fa costruire questo Ghetto degli ebrei, ma in realtà gli ebrei vivevano da secoli in città ed in questa area.
Era una zona povera con abitazioni fatiscenti, dove vengono creati dei cancelli di chiusura e tutti devono rientrare al tramonto. Inizialmente vi erano due cancelli, fino a che, con l’ampliazione del quartiere, si giunse alla creazione di 8 cancelli.
Gli ebrei, uomini e donne, dovevano essere tutti riconoscibili, gli uomini ad esempio dovevano sempre indossare il kippah. Agli ebrei non era concesso di avere beni immobili, pertanto le case del Ghetto non erano di loro proprietà, ma potevano possedere solo beni mobili, tanto che si concentrano su beni quali l’oro.
Il Ghetto era una zona soggetta alle inondazioni del Tevere, con strade strette e buie, con palazzi molto alti, rispetto alla città, poiché dovevano contenere una fitta popolazione. Le case erano collegate tramite dei ponticelli, attraverso cui si spostavano.
VIA DELLA REGINELLA
Inizialmente, il Ghetto era piccolo e poi venne ampliato, infatti Via della Reginella e zona limitrofa vengono inserite all’interno del Ghetto nel 1825. A testimonianza di ciò, su Via della Reginella c’è una porta murata, che in realtà era l’ingresso principale del Palazzo Costaguti, che fu così spostato su Piazza Mattei, per permettere alla famiglia la libertà di accesso. In quel punto, di incrocio tra Via della Reginella e Piazza Mattei, avevano posto un cancello.
Il Ghetto oggi è strutturato in 4 grossi isolati, ma prima della modifica fatta alla fine dell’800 era intensamente popolato, case alte, piccole, tutte vicine.
Con l’annessione al Regno d’Italia, il Ghetto viene aperto e gli ebrei vengono dichiarati cittadini italiani. Vengono aboliti i cancelli e viene redatto un piano regolatore per modificare la città, vengono creati i Faraglioni per arginare il fiume e le sue piene e per far ciò, vengono fatti sventramenti importanti anche in questo rione.
Date le condizioni fatiscenti, decidono di raderlo al suolo e ricostruirlo.
Il Ghetto degli anni duemila è fatto di negozietti di artigianato a VIA DELLA REGINELLA, che viene ricordata come la via del “miracolo dei 90 metri”, quando un giovane decide di scommettere e di aprire una piccola boutique di quadri e libri, che nel giro di tre anni riscuote un successo tale da far popolare anche le altre botteghe e far rifiorire la via.
PIETRE D’INCIAMPO
Su Via della Reginella troviamo delle piastre di ottone per terra, chiamate PIETRE D’INCIAMPO, un progetto dell’artista tedesco Gunter Demnig, a partire dal 1995, volto a ricordare le persone deportate dal Ghetto nell’ottobre del 1945. Sono pietre della memoria, che riportano un nome, una data di nascita e di morte, della persona che viveva lì dove è stata posta la pietra.
Nel mondo vi sono circa 50.00 pietre d’inciampo ed il progetto originario dell’artista era quello di crearne una per ogni persona deportata.
FONTANA DELLE TARTARUGHE A PIAZZA MATTEI
Giungiamo a PIAZZA MATTEI, dove campeggia la FONTANA DELLE TARTARUGHE.
Il duca Muzio Mattei aveva circa cinque possedimenti nella zona ed il palazzo in cui risiedeva era proprio qui, nell’omonima Piazza, ed il suo intento era quello di abbellirla con una fontana.
Siamo alla fine del 1500 ed il Ghetto era già esistente dal 1555. Non era dotato di acqua e la popolazione per avere l’acqua poteva usufruire dell’unica fonte, posta dall’altra parte del fiume.
Si decide quindi di metter mano all’Acquedotto dell’Acqua Vergine, che porta l’acqua a tutto il centro, per prolungare le sue ramificazioni e farla giungere anche in questa zona.
Il duca riesce a far sì che la fontana venga costruita qui, promettendo la manutenzione della fontana e la pavimentazione della piazza.
Come ogni angolo di Roma, anche la Fontana ha la sua leggenda.
Si narra che il duca Mattei, uomo bello e ricco, volesse prendere in sposa una fanciulla, il cui padre non acconsentiva a questa unione. Pare che il duca fosse un giocatore incallito e che una notte avesse perso un ingente somma di denaro, tanto da far infuriare il futuro suocero e provocare il rifiuto.
Il duca non si scoraggia e cosa fa? Fa costruire in una sola notta questa fontana ed invita la fanciulla con il papà ad assistere alla presentazione della fontana dal suo palazzo e ne fa dono alla sua amata. Il suo intento è quello di stupirli. Decide poi di murare la finestra da cui si sono affacciati, affinché nessun altro godesse della stessa vista.
Costruita in una sola notte? Ovviamente è una leggenda, di quelle di cui Roma è ricchissima.
La Fontana delle Tartarughe viene terminata nel 1584 su progetto di Giacomo della Porta. Abbiamo una vasca con 4 conchiglie grandi, sopra dei fanciulli che spingono con le mani sulla vasca superiore nella parte alta le piccole tartarughe. I piedi poggiano sui delfini, il cui aspetto è fantasioso, poiché vengono realizzati non su osservazione diretta degli artisti, ma attraverso documenti redatti da altri, che li avevano visti direttamente.
Al posto delle tartarughe ci dovevano essere altri 4 delfini, ma pare che ci fossero problemi di livello dell’all’acqua a causa di questi delfini troppo grossi, quindi vennero utilizzati per un’altra fontana, che si trova in Piazza della Chiesa Nuova.
Le tartarughe vengono commissionate nella meta del 1600 da Alessandro VII ed apposte qui come abbellimento per riempire lo spazio vuoto e poco armonico rimasto tra la mano degli efebi e la vasca in alto. Attualmente le tartarughe sono una copia, poiché hanno già subito un furto, per poi essere ritrovate.
Con le tartarughe della Fontana di Muzio Mattei, termino questa camminata tra le strade ed i palazzi del Ghetto di Roma e ci vediamo al prossimo giro della nostra meravigliosa capitale.